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Relazione dei Testimoni di Giustizia alla COMMISSIONE ANTIMAFIA EUROPEA(CRIM)del 30-10-2012

I TESTIMONI E L’ITALIA

DALLA LEALTA’ CIVILE ALLA SLEALTA’ DELLA POLITICA

 

 

 

In Italia si parla molto di giustizia ma raramente accade che si parli dei problemi che la affliggono.

Ancora più raramente accade di sentire la classe dirigente, la classe politica di governo del Paese affrontare le questioni riguardanti i Testimoni di Giustizia.

Perché il silenzio sui Testimoni, quali le ragioni del silenzio delle istituzioni italiane (Governo, Parlamento) sugli onesti cittadini?

C’è da chiedersi se vi sia, in Italia, la volontà di rendere veramente migliore questo Paese, di liberarlo dal giogo di una “ civiltà contraria, civiltà della morte” (Giovanni Paolo II); c’è da chiedersi che se è vero che una vita senza arte ne parte è una vita buttata via non si capisce perché una vita onesta, fatta di impegno civile e di testimonianza nei processi contro le mafie debba fare la stessa brutta fine.

Tutti, ma proprio tutti, a parole plaudono al coraggio dei Testimoni di Giustizia, ufficialmente spendono parole di elogio nei loro discorsi (la politica come provvedimento è assente) al loro sacrificio ed a quello dei suoi familiari nel contribuire volontariamente al contrasto contro le mafie.

I fatti, purtroppo, dimostrano l’esatto contrario!

Intendiamoci lo scopo non è quello di impedire l’ingresso dei Testimoni nel programma di protezione, lo scopo è nascondere la verità: testimoniare contro le mafie equivale a fare un salto nel buio, precipitare dentro un pozzo senza fine dove la via d’uscita paradossalmente finisce per mettere in crisi le ragioni e persino il valore della testimonianza.

La questione dei Testimoni in Italia rientra nel bilancio consultivo degli effetti moralmente e politicamente vergognosi di scelte politiche fallimentari sotto diversi punti di vista.

Il mio Paese che tanti meriti ha avuto nella lotta contro le mafie, vive da decenni contraddizioni profonde che stridono con la voglia di legalità e di giustizia dei suoi cittadini.

Conosciamo la bellezza e la cultura dell’Italia, le nobili origini che la facevano conoscere al mondo come la “culla del diritto”, ma ne conosciamo anche l’equilibrio precario sotto il profilo della linearità e della coerenza dei provvedimenti.

Assistiamo sgomenti, nel silenzio generale assoluto, ad affermazioni scandalose anche da parte di chi in questo Paese ricopre incarichi istituzionali importanti nella lotta contro la criminalità organizzata; mi riferisco a chi ha affermato, pochi giorni addietro, di avere provato stupore nel venire a conoscenza che anche nelle regioni dell’Italia settentrionale si sono verificati fenomeni di voto di scambio tra mafia e politica. Lo stupore dell’alto magistrato era dovuto alla convinzione che fenomeni di questo tipo potessero verificarsi solo nelle regioni del sud in ragione della povertà di questi territori.

 

Orbene, se il livello di conoscenza e di analisi dei fenomeni criminali è il frutto di stereotipi di questa natura, allora è facilmente comprensibile la resistenza che il Ministero degli Interni oppone a coloro che chiedono la riforma della legge 45/2001 che disciplina il programma di protezione dei Testimoni.   

Lo diciamo con forza, lo affermiamo con le parole di Henry Louis Mencken: “ l’ingiustizia è relativamente facile da sopportare; quella che proprio brucia è la giustizia”.

Sui Testimoni che decidono di rimanere nella località di origine, senza essere costretti come altri testimoni a condurre una vita da latitanti sparsi per l’Italia, denunciamo un calo di attenzione sulla qualità dei dispositivi di sicurezza oggetti troppo spesso di una pericolosa arbitrarietà discrezionale degli organi competenti.  

Denunciamo sul cambiamento delle generalità, trattandosi di un atto con classifica di segretezza, la violazione del segreto di ufficio da parte del personale operante presso organi e/o strutture centrali e/o periferiche del Ministero degli Interni che sono stati oggetto di denuncia, da parte della testimone Piera Aiello, alla autorità giudiziaria.

Chiediamo che sia meglio definito il concetto espresso dal termine “tenore di vita” quale punto di riferimento nella definizione delle misure di assistenza da erogare.

Chiediamo che il Testimone sia considerato come una risorsa anche in termini di testimonianza sociale (educazione alla legalità) piuttosto che negargli la possibilità di continuare a sentirsi parte della cittadinanza attiva costringendolo al più totale isolamento.

Quanto vi abbiamo riferito non è il frutto di contestazioni generiche, di istanze pretestuose bensì una fotografia nitida della situazione nella quale versano oggi i Testimoni.

Le denuncie dei testimoni sono state oggetto di un’inchiesta da parte della autorevole Commissione Parlamentare Antimafia e nel giugno del 2008 ha portato all’approvazione all’unanimità di una relazione da parte della speciale commissione bicamerale.

Per onestà intellettuale va segnalato che in occasione dell’inchiesta svolta dalla Commissione Parlamentare Antimafia, sì è registrato un confronto sincero e aperto tra l’allora sottosegretario agli Interni, on. Marco Minniti, e la Commissione (giugno 2008).

Tale condivisione di interessi si è poi manifestata con l’intenzione del Governo Prodi di provvedere a una modifica della legge 45/2001, sull’esempio di quanto previsto per i familiari delle vittime della criminalità organizzata e del terrorismo (art.14 della legge n.302 del 1990) che preveda forme di assunzione obbligatoria dei Testimoni da parte delle amministrazioni dello Stato al fine di favorire il reinserimento lavorativo e sociale una volta esauriti gli impegni giudiziari.

Dall’inchiesta promossa dalla Commissione Parlamentare Antimafia, era anche emersa la volontà di modifica dell’attuale modello organizzativo del Servizio Centrale di Protezione (SCP), potenziamento e integrazione dell’organico presso il SCP, modifica dei criteri nella redazione delle perizie e delle stime degli immobili di proprietà del Testimone da acquisire a patrimonio dello Stato in ragione del differenziale di valore, in danno ai Testimoni, dall’essere trasferito in località protette dal costo della vita più elevato, maggiore attenzione alla sicurezza e ai dispositivi di sicurezza (mezzi e uomini specializzati) a tutela dei Testimoni che avevano deciso di rimanere nella località di origine, modifica della disciplina del cambiamento delle generalità, riconoscimento del danno biologico e del danno esistenziale subito dal Testimone in relazione ai danni e sofferenze patite dallo stesso e dai suoi familiari nel programma di protezione.

Che cosa è accaduto dal 2008 a oggi? E’ accaduto che la lealtà civile dei Testimoni non è stata corrisposta da altrettanta lealtà da parte delle forze di governo del Paese.

Accade che nel novembre 2006 il Presidente del Consiglio (Romano Prodi) ha affermato che “una democrazia “forte” non può dimenticare i Testimoni di Giustizia e non può lasciarli soli”, “nella loro sicurezza e nella loro tranquillità si riflette il grado di efficienza di un Paese che essi hanno inteso servire con collaborazioni volontarie e coraggiose spesso fondamentali nell’azione di contrasto alle mafie” mentre oggi quegli stessi Testimoni sono considerati un peso piuttosto che una risorsa!

Una risorsa nella quale il Governo attuale non intende investire in termini di uomini, mezzi e risorse economiche creando, nei fatti, le pre-condizioni politiche e sociali che sono state le concause di fenomeni come l’omertà, la mancanza di fiducia della effettiva volontà dello Stato di fare sul serio la lotta alla criminalità organizzata, la disincentivazione delle collaborazioni volontarie, la mortificazione della vocazione testimoniale dell’associazionismo antimafia.

Vogliamo ricordarlo, ancora una volta, con la più volte citata “Relazione sui testimoni di giustizia”: i testimoni sono i primi a sperimentare sulla propria pelle quelle gravi cadute di efficienza del sistema, dovute ad “inettitudine, trascuratezza, irresponsabilità”.

Lecito, dunque, che un cittadino si chieda perché rischiare la propria vita e quella dei familiari visto che lo Stato non è credibile?

Comprensibile pensare che se  devo costringere la mia famiglia a fare una vita da fuggitivi per poi rivolgermi alla autorità giudiziaria portando in giudizio, non il mafioso, ma il Ministero degli Interni, la Commissione Centrale e il Servizio Centrale di Protezione allora è bene che è meglio voltarsi dall’altra parte.

Lacune, disfunzioni, negligenze sono sotto gli occhi di tutti, nulla può essere più taciuto, sommerso o mascherato da ipocrisie.

Chiediamo al Presidente del Consiglio Mario Monti di essere ricevuti unitamente agli altri Testimoni per conoscere le ragioni del suo silenzio.

Chiediamo al Ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, di conoscere le sue valutazioni sul documento che i Testimoni hanno consegnato al Ministro molti mesi addietro ed ancora oggi senza risposta.

Chiediamo al Governo Italiano di dare piena e urgente attuazione alle modifiche della legge 45/2011 proposte nella relazione della Commissione Parlamentare Antimafia del 2008.

Ad oggi permangono quelle condizioni che “dopo un momento di assistenza iniziale, il teste viene “abbandonato” in balia di se stesso e delle sue esigenze familiari, lavorative e sociali che non solo non vengono prese in esame e soddisfatte, ma incontrano ostacoli per lo più di natura burocratica-amministrativa frapposti proprio da chi è, per legge, preposto a superarli e risolverli (Commissione Parlamentare di Inchiesta sul Fenomeno della Criminalità Organizzata Mafiosa o Similare, Relatore On. Angela Napoli).

Noi riteniamo che i diritti ed i doveri dei cittadini Testimoni di Giustizia non iniziano e non finiscono dentro un’aula di tribunale cioè nell’ambito del processo nel quale egli ha reso la sua testimonianza; è evidente che il nostro intervento si rifà a criteri di cittadinanza attiva quindi in uno “spazio” compreso tra identità ed appartenenza ma, sta proprio qui il punto di frattura: quale identità e quale appartenenza sono possibili per un testimone di Giustizia?

 La storia dei testimoni o meglio le nostre storie stanno a dimostrare che identità, appartenenza ed in ultima istanza la cittadinanza sono parole destinate ad essere e restare sempre più deboli man mano che precipitano dentro il pozzo nero e profondo della burocrazia, delle competenze, dei bilanci, per non parlare della negligenza e dell’indifferenza.

Potremmo continuare ancora un po’ ma verremmo meno allo spirito di questo nostro  intervento, vogliamo tornare a parlare delle persone.

La questione fondamentale è quella di trovare insieme percorsi etici comunemente condivisi e questo terreno si chiama Giustizia per cercare di colloquiare e comprendere i diversi punti di vista per trovare proposte e soluzioni.

Tutti noi siamo coscienti che ognuno deve fare la sua parte perché una grande battaglia, come la lotta contro le mafie, può essere vinta solamente se tutti ci impegniamo, ma, è altrettanto vero che da soli non si va da nessuna parte.

In Italia i Testimoni di Giustizia sono all’incirca 70 (settanta) e rappresentano poco meno dello 0,000001% della popolazione.

Se non si vuole che il numero continui a diminuire, sino a ridursi allo zero, e con esso scompaia ogni speranza di combattere le mafie, è necessario rivedere, insieme alle leggi, anche le nostre coscienze individuali.

 

 I TESTIMONI DI GIUSTIZIA E L’EUROPA

 

Le fonti a carattere generale

1) Oggi il termine “globalizzazione” designa un fenomeno generale, che si è affermato in ogni ambito della vita e delle relazioni, favorito dagli enormi sviluppi tecnologici intervenuti nel secolo scorso e, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale: globalizzazione dell’economia, della finanza, dei processi produttivi e culturali, dell’informazione, più o meno virtuale, ma anche globalizzazione della criminalità.

 

Sin dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo nella Carta delle Nazioni Unite del 1948, sono state previste norme generali e fondamentali a tutela dei diritti di tutti e di ciascuno, anche in previsione dei grandi fenomeni che vanno oggi sotto il nome d globalizzazione. Le tragedie delle guerre mondiali, infatti, hanno posto in evidenza la necessità di riaffermare, promuovere e tutelare i diritti dell’individuo e delle comunità (anche nazionali) che meccanismi e strutture economiche avevano nella pratica eliminato, relegando i valori della persona e dell’uomo in una sfera puramente ideale, culturale, forse artistica, comunque staccata dalla realtà della vita quotidiana e dei rapporti effettivi.

 

La nascita della Comunità Europea, oggi Unione Europea, su un piano più operativo di quanto fosse la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, risponde al fondamentale indirizzo di costituire una società che, superando i confini degli Stati, superando e non escludendo le comunità nazionali e gli interessi particolari e specifici nell’ottica di una società umana in pace, nella sicurezza, nella giustizia, ponesse al suo fondamento la tutela primaria della dignità delle persone e dei popoli.

 

In questo processo, lungo e complesso ed ancora ben lungi dall’essere realizzato compiutamente, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Trattato di Nizza), prevede, all’art. 6, che “ ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza”, mentre il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Trattato di Lisbona), all’articolo 4, comma 2, prevede che “L’Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri nei principali seguenti settori: ….. ) spazio di libertà, sicurezza e giustizia …. “.

 

Emerge, quindi, con evidenza, come le Istituzioni sovranazionali riconoscano e tutelino, a vari livelli, i diritti fondamentali delle persone e dei popoli, visti nella loro globalità ed unità, anche e proprio in relazione a quei fenomeni di globalizzazione, che tenderebbero, di per sé, a comprimerli ed eluderli in ragione del perseguimento di interessi di natura esclusivamente economica, che, affermandoli formalmente, tuttavia finiscono per comprimerli attraverso l’uso della violenza, che adopera come strumento incontrollato la criminalità.

 

2) In questo quadro è importante sottolineare come “ libertà, sicurezza e giustizia “ siano poste a fondamento della pace (ragione ultima e fondante sia delle Nazioni Unite che della Unione Europea), ma anche del corretto sviluppo delle persone e dei popoli.

 

Tutto ciò che limita, offende o toglie la libertà delle persone e dei popoli ostacola la costruzione di un mondo di pace, di giustizia e di sicurezza. Analogamente, tutto ciò che limita, mette a rischio, ostacola o toglie la sicurezza, impedisce la realizzazione di una società giusta di uomini liberi; così come tutto ciò che offende la giustizia è un attentato alla libertà ed alla sicurezza delle persone e dei popoli.

 

L’affermazione di questi principi, ovviamente, presuppone l’analisi della realtà, che presenta strutture ingiuste, prevaricatrici, discriminatorie e violente; gravi carenze e mancanze di sicurezza, e, conseguentemente, attentati e compressioni della libertà sostanziale, nonostante solenni dichiarazioni e professioni prevalentemente formali di libertà.

 

E’, quindi, sottinteso il riconoscimento che la quotidianità, globalmente e settorialmente presa, è fortemente condizionata da strutture economiche e di potere fondate sulla violenza, sulla negazione dei diritti delle persone e sulla limitazione della sicurezza fino al punto di ingenerare strutture di incertezza o, come oggi si chiama, di precarietà, la quale, superando l’aspetto meramente economico, distrugge il tessuto sociale e culturale delle nazioni e dei popoli. Questi condizionamenti pesanti sono alla base della criminalità, che finisce per essere la naturale conseguenza di scelte e indirizzi contrari alla libertà, alla giustizia ed alla sicurezza.

 

3) Le contraddizioni colossali che sono derivate e derivano dal posporre il valore e la dignità della persona alla pura logica economica e di potere hanno fatto sorgere e sviluppare una forte sensibilità di giustizia e di sicurezza, che, sempre più alimentata dai principi solennemente da tutti proclamati, hanno indotto ad una regolamentazione sempre più dettagliata della tutela dei diritti, sotto forma di programmi di giustizia e di sicurezza che finiscono per essere i capisaldi delle libertà.

 

Quelle contraddizioni sono rese sempre più macroscopiche dalla diffusione planetaria (globalizzazione) della illegalità, che, dal piano nazionale è ormai diventata un fenomeno internazionale, che esplode anche a livello mondiale con guerre del tutto al di fuori delle regole del diritto internazionale – ad iniziare dalle regole della Carta delle NU -: guerre illegali, condotte diplomatiche che prescindono dalle convenzioni internazionali e dal cosiddetto diritto consuetudinario. Le ultime guerre scoppiate nel mondo sono una prova preoccupante e devastante di questa illegalità, basata sulla rapina delle risorse del pianeta da parte dei potenti; sullo sfruttamento delle ricchezze dei popoli; sulla emarginazione, oppressione e annientamento dei deboli, come persone e come popoli. Che queste siano le emergenze della situazione attuale, è la prova che queste emergenze sono costruite, a livello sottostante, da una criminalità ormai dilagante su tutto il pianeta attraverso le potentissime organizzazioni sovranazionale quali la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta, unite in vari cartelli soprattutto nel traffico di stupefacenti, o operanti settorialmente nei settori dello smaltimento dei rifiuti radioattivi o inquinanti, nel traffico di organi, nei giochi d ‘azzardo, nella realizzazione di una finanza cosiddetta tossica.

Questa realtà ha come conseguenza di seminare morte e sottosviluppo, e di soffocare l’umanità sotto una cappa ormai insostenibile.

 

Si è, quindi, sviluppata una sempre più vasta sensibilità di esigere e realizzare il rispetto e la tutela della persona e dei popoli; di formulare sanzioni sempre più stringenti contro chi si macchia di crimini contro l’umanità e contro i singoli e le collettività; di aggredire i criminali e le loro organizzazioni – anche a livello politico – sul piano economico oltre che sul piano penale, elencando e proclamando accanto ai diritti di difesa dei responsabili, i diritti delle persone offese ad essere risarcite dei danni loro arrecati.

 

Sono così sorte sempre più estese collaborazioni tra le magistrature inquirenti, tra le forze di polizia; sempre più ampi trattati internazionali tra i vari Stati per combattere la criminalità; sempre più coordinate legislazioni per tutelare e promuovere i diritti delle persone offese, confrontando e approfondendo le esperienze in materia dei vari Stati nazionali e giungendo a elaborare programmi e direttive sovranazionali, come risposta ineludibile alla globalizzazione del crimine. Ma tutto ha origine dal risveglio della sensibilità sociale per promuovere, con la giustizia e la sicurezza, la libertà dei cittadini.

 

In questo quadro, ha avuto un forte sviluppo il fenomeno della collaborazione, del pentitismo e quello, abbastanza nuovo – specie in Italia, Paese con una criminalità molto radicata e diffusa – dei Testimoni di Giustizia.

 

4) Solo negli anni ’80, con l’esplodere del terrorismo e con la sempre maggiore forza della mafia e delle altre organizzazioni criminali, è stata elaborata una legislazione sui pentiti e sui collaboratori di giustizia e solo nel 2001 è stata riconosciuta e regolata la figura del testimone di giustizia. E’ stato un grande passo avanti della legislazione nazionale, mutuato anche da esperienze già esistenti in altri Paesi.

 

La forza e la valenza delle organizzazioni criminali italiane, se da un lato ha mirato a un depotenziamento ed a forti limitazioni di queste legislazioni, dall’altro lato ha fatto crescere la consapevolezza e l’esigenza di dare rilevanza comunitaria a questo fenomeno, che in Italia sembra quasi inviso alle strutture di Sicurezza, affinché possa essere, invece, maggiormente tutelato con normative cogenti, che prevedano anche un sistema sanzionatorio a livello internazionale e, quindi, difficilmente eludibile anche sul piano interno.

 

Su questa materia, a livello di UE, sono già stati compiuti studi, ricerche, progetti, proposte e indirizzi, che hanno consentito di porre all’ordine del giorno il problema della criminalità e delle forme per combatterla. Occorre ora questi progetti renderli esecutivi ed applicarli ad iniziare dal livello continentale, dando piena attuazione alla enunciazione dei diritti di libertà, di giustizia e di sicurezza, perché solo attraverso la tutela di questi diritti si costruisce una società civile e progredita.

Il Testimone di giustizia, in questo progetto è fondamentale, perché afferma puramente e semplicemente ed attua puntualmente la previsione generale di affermare e garantire la propria libertà, di esigere e promuovere la sicurezza della società e dei singoli, di vivere e realizzare la giustizia, che è la sintesi – come dicevano gli antichi romani – del vivere onestamente, di dare a ciascuno il suo e di non recare danno ad alcuno.

 

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Promuovere la realizzazione di una normativa europea omogenea in tema di protezione dei Testimoni consente una più efficace azione di contrasto contro le organizzazioni criminali.

Occorre quindi superare la logica dei “confini nazionali” specie in materia di lotta alle mafie perché troppe volte e troppo spesso gli interventi legislativi nazionali hanno prodotto politiche di contrasto alle mafie di dubbia efficacia.

Nella migliore delle ipotesi si è trattato di interventi frammentati, incompiuti quando non anche persino distorti.

Vedasi ad esempio, il caso Italiano, per quanto previsto dalla decisione quadro 2001/220/GAI a proposito della tutela delle vittime (per inciso i Testimoni sono anch’essi vittime) nel processo penale e ancora oggi non del tutto recepito nel proprio ordinamento.

Il risultato è che la responsabilità degli Stati membri inadempienti si riduce a una responsabilità a carattere meramente politico.  

Nel corso dei decenni si sono registrati molteplici interventi in materia di protezione dei Testimoni, vale la pena elencarne alcuni:

 

1)    Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 23/11/1995.

2)    Raccomandazione n.16 del 15/08/1997 Piano di azione contro la criminalità        organizzata.

3)    Costituzione Rete europea di collegamento coordinata da Europol anno 20009.

4)    Risoluzione del Consiglio 1996.

5)    ONU: benché non esiste una normativa ONU a se stante, vincolante o meno, che tratti unicamente la protezione dei testimoni, negli ultimi anni, nelle Convenzioni delle Nazioni Unite, si tende a fare riferimento alla protezione dei testimoni ( Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale UNTOC, 2001 e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione UNCAC, 2003). Per aiutare gli Stati membri dell’ONU ad attuare la convenzione, l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC) nel 2005 ha cominciato a elaborare delle linee guida sulla protezione dei testimoni.

6)    Studio dell’Università di Gand commissionato dalla Commissione Europea (JAI/2004/AGIS/077) (anno 2004).

7)    Raccomandazione concernente la protezione dei testimoni (anno 2005).

8)    Gruppo di lavoro Europol- ISICS-OPOCO a Siracusa (2006).

9)    Seminari di esperti in materia di protezione in Bruxelles 2006-2007.

 

L’ultimo intervento in materia di disciplina di protezione dei Testimoni è la relazione della Commissione LIBE sulla criminalità organizzata nell’Unione Europea (2010/2309 (INI)) approvata dal Parlamento Europeo nella seduta del 06.10.2011.

Tutti gli interventi sopracitati sono un vero e proprio corpus etico (soft law) ma non costituiscono norme giuridicamente vincolanti pertanto è necessario ed urgente tradurre quest’insieme di buone pratiche nell’adozione di norme europee comuni pena il rischio di disincentivare la collaborazione dei cittadini, minare in profondità la fiducia nelle istituzioni ed il perseverare della criminalità organizzata.

Il 13.11.2007 la Commissione delle Comunità Europee, nelle considerazioni finali al documento sulla “fattibilità di una normativa europea in materia di protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia”, ha scritto che i “Tempi non sono maturi”….”, “che gli Stati membri sarebbero riluttanti”…,proponendo di rinviare l’attività legislativa in tale materia fra 4-5 anni.

I Testimoni di Giustizia hanno offerto, con un gesto di forte coraggio civile, la loro collaborazione e testimonianza contro la criminalità organizzata a prescindere dalla maturità dei tempi, senza riluttanza e senza rinvii.    

 

DALLE BUONE PRATICHE ALLE SCELTE CORAGGIOSE

LE NOSTRE PROPOSTE

 

 

A)    protezione ed inserimento lavorativo dei Testimoni di Giustizia anche e oltre i confini nazionali in uno dei Paesi membri dell’Unione Europea prevedendo una direttiva, giuridicamente vincolante, che impegni i Paesi dell’Unione Europea a definire una normativa di valorizzazione (politica, sociale e economica) del ruolo dei Testimoni di Giustizia. Attraverso l’inserimento lavorativo si garantirebbe il pieno ed effettivo sostegno ai Testimoni facilitandone il ritorno ad una vita normale.

 

B)    inserimento di alcuni Testimoni di Giustizia nell’ambito del personale in servizio presso le strutture di funzionamento, di attuazione dei programmi di protezione dei testimoni. In Italia le strutture individuate sono la Commissione Centrale ed il Servizio Centrale di Protezione. Considerato che il Servizio Centrale di Protezione italiano presenta una sezione specifica per i Testimoni l’inserimento di quest’ultimi tra il personale operante in tale struttura produrrebbe immediati e significativi risultati.

 

C)    inserimento dei Testimoni di Giustizia, in qualità di membri di diritto, presso la Commissione speciale sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro (CRIM) e la Commissione per le Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE).  sulla falsariga di quanto già avvenuto in Italia con l’inserimento di alcuni rappresentanti del mondo dell’associazionismo nell’ambito della Commissione Parlamentare Antimafia.

 

D)    Inserimento di alcuni Testimoni di Giustizia tra i soggetti che fanno parte della rete europea di collegamento coordinata da Europol. Allo stato attuale la rete europea è costituita dai capi delle unità specializzate in materia di protezione dei Testimoni. La partecipazione diretta dei Testimoni, quali esperti per esperienza (personale, diretta) tra le figure della rete europea di collegamento darebbe un contributo significativo nella realizzazione delle buone pratiche in materia di Testimoni di Giustizia.  

 

E)     Partecipazione dei Testimoni di Giustizia nelle attività promosse dalle istituzioni e agenzie formative comunitarie, di vario ordine e grado, nell’ambito delle attività di promozione di percorsi di cittadinanza attiva e di educazione alla legalità. Il riferimento specifico è la Decisione n. 1904/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 che ha istituito il programma "Europa per i cittadini" mirante a promuovere la cittadinanza europea attiva e a sviluppare l’appartenenza ad una società fondata sui principi di libertà, democrazia e rispetto dei diritti dell’uomo, diversità culturale, tolleranza  e solidarietà, in conformità della Carta dei diritti

          fondamentali dell’Unione europea, proclamata il 7 dicembre 2007.

 

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

La mia voce è la voce dei Testimoni di Giustizia, le mie parole sono le parole di chi oggi non ha più voce ne parole come Rita Atria, Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola e di tante altre vittime morte di solitudine e nella solitudine dimenticate.

Il loro sacrificio, la loro morte non peserà su nessuno, non peserà neanche allo Stato che sarà legittimato a dire “ abbiamo fatto il possibile ”/” non era sotto la nostra protezione ”.

Noi che viviamo il tempo presente abbiamo una grande opportunità ma anche una grande responsabilità che è quella di dare un segnale forte e chiaro della centralità degli onesti nella politica dell’Unione Europea.

Oggi questa opportunità, questa responsabilità noi Testimoni di Giustizia la condividiamo con la Commissione speciale sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro (CRIM).

Il venir meno a questa responsabilità equivale a rinunciare a vivere onestamente e quindi a vivere piegati alle nostre paure, ai nostri colpevoli silenzi ed in definitiva a vivere piegati e soggiogati agli interessi delle mafie.

Se un uomo cammina curvato torce la schiena, ma se a camminare curvato è un popolo insieme alle istituzioni comunitarie (Consiglio, Parlamento e Commissioni) allora a piegarsi è la storia.

 

Proposta di modifica di legge 45/2001 presentata dai Testimoni di Giustizia al Governo MONTI

Eccellentissimo Ministro,

abbiamo deciso di rivolgerci direttamente a Lei nella speranza che la S.V. voglia prendere in considerazione ed affrontare la questione delicata dei Testimoni di Giustizia che è  questione di legalità e di civiltà.

Il dato di fatto che ci ha portato a formulare la presente è molto semplice: il Testimone di Giustizia, in molti casi,  NO N è soddisfatto del trattamento che riceve da parte dello Stato.

Non a caso, come si legge sui quotidiani a tiratura nazionale, vi sono  Testimoni di Giustizia che compiono  gesti clamorosi, che  ricorrono al giudice, che contestano l’operato dello Stato nei loro confronti perché non rispettoso dei diritti essenziali delle persone e dei diritti dei Testimoni di Giustizia anche perché le promesse iniziali fatte a vari livelli istituzionali ai Testimoni non vengono spesso mantenute. Diversi testimoni di Giustizia non hanno potuto più svolgere il proprio lavoro; diversi si sono seriamente gravemente ammalati.

In base alle nostre esperienze personali - siamo Testimoni di Giustizia -, chiediamo che solamente una profonda innovazione in materia possa risolvere, i vari problemi esistenti. Noi ci permettiamo:

A)     di elencare alcune delle principali problematiche del Testimone di Giustizia (allegato 1).

Ciò affinchè  la S.V. possa individuare gli interventi  necessari a farvi fronte ed attivarsi al fine di porli in essere.

B)      di indicare alcune semplici modifiche da apportare alle L. 45/2001 nella parte relativa ai Testimoni di Giustizia (allegato 2).

Al fine di sottoporre alla Sua attenzione alcuni punti non chiari della normativa vigente e che hanno portato nel tempo a diversi conflitti tra Testimoni di Giustizia e Stato.

C)      di evidenziare, in particolare, la esigenza di una tutela lavorativa per il Testimone di Giustizia (allegato 3).

 Anche in questo caso al fine di avere il Suo autorevole intervento per modificare l’attuale status quo.

Siamo ben consci che quanto qui riportato è limitato, parziale, non ha alcun carattere di sistematicità, non è approfondito. D’altra parte le problematiche relative ai Testimoni di Giustizia sono molto complesse ed articolate – come ben si ricava tra l’altro dalla relazione della Commissione Parlamentare Antimafia approvata all’unanimità nella seduta del 19.02.2008 – e non di facile soluzione. Certo è però che bisogna iniziare ad affrontare questo grave problema. Speriamo che la S.V. Illustrissima voglia farlo e voglia considerare questa nostra lettera un elemento utile in tal senso.

Restando in attesa di una Sua cortese risposta alla presente e restando a disposizione porgiamo cordiali saluti.

 

 

 

 

 

 

Elenco di alcune problematiche relative al Testimone di Giustizia (TdG).

 

AL MOMENTO DELL’INSERIMENTO SOTTO PROTEZIONE

-          E’ necessario che il TdG sia informato in modo preciso e puntuale circa i diritti ed i doveri derivanti dal suo nuovo status.

-          Al TdG deve essere data subito una copia del contratto sottoscritto al momento della entrata sotto protezione (che deve valere per entrambe le parti in uguale maniera) e la delibera della Commissione Centrale al fine di poter conoscere esattamente la propria situazione .

 

DURANTE LA PROTEZIONE

-          L’esigenza fondamentale è che sia garantita al TdG la sicurezza nelle varie forme.  Quando vengono deliberati appositi dispositivi di sicurezza si chiede che gli stessi siano rapidamente attuati.

-          Il TdG, dopo un primo periodo breve e transitorio, deve avere una abitazione adeguata alle sue esigenze e deve poter utilizzare, qualora lo voglia, i mobili delle proprie abitazioni.

-          L’assegno erogato al TdG ed ai suoi familiari deve essere concordato con lo stesso in base al “tenore di vita” in precedenza goduto ed in riferimento ai redditi di cui disponeva (circa il “tenore di vita” si veda  l’allegato n.  2).

-          Lo Stato deve prendere atto subito della situazione economica e finanziaria del TdG ed  intervenire affinchè lo stesso non subisca pregiudizio dalla intervenuta protezione.

-          Qualora il TdG resti in loco lo Stato deve  intervenire direttamente affinchè il TdG possa continuare a svolgere l’attività svolta fino a quel momento;  qualora ciò non accada deve essere garantito al TdG, nel frattempo, un assegno in base al “tenore di vita” avuto fino a quel momento.

-          Il TdG ha diritto ad avere una copia di tutti gli atti che lo riguardano e delle comunicazioni effettuate.

-          Per l’inserimento nella località protetta, ove è opportuno che il TdG lavori, è opportuno che lo stesso sia coadiuvato da apposito personale (magari altri TdG che hanno già vissuto tale esperienza).

-          Il TdG ha diritto di tornare in località di origine per esigenze personali e familiari.

-          La permanenza nello SPP deve essere limitata a periodo non superiore a tre anni.

-          Il TdG ha diritto ad essere convocato in Commissione Centrale dietro precisa richiesta motivata.

-          Il TdG ha diritto ad avere una risposta scritta, in tempi rapidi, alle istanze presentate alla Commissione Centrale o al SCP.

 

AL MOMENTO DELLA USCITA.

-          La capitalizzazione deve essere effettivamente concordata con il TdG.

-          La capitalizzazione deve tenere conto del “mancato guadagno” e del “tenore di vita” (in base a quanto indicato nell’allegato n. 2).

-          Un TdG resta tale per tutta la vita. Anche dopo la uscita dallo SPP lo stesso ha diritto alla sicurezza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

All.n°1

 

 

 

Elenco di alcune problematiche relative al Testimone di Giustizia (TdG).

 

AL MOMENTO DELL’INSERIMENTO SOTTO PROTEZIONE

-          E’ necessario che il TdG sia informato in modo preciso e puntuale circa i diritti ed i doveri derivanti dal suo nuovo status.

-          Al TdG deve essere data subito una copia del contratto sottoscritto al momento della entrata sotto protezione (che deve valere per entrambe le parti in uguale maniera) e la delibera della Commissione Centrale al fine di poter conoscere esattamente la propria situazione .

 

DURANTE LA PROTEZIONE

-          L’esigenza fondamentale è che sia garantita al TdG la sicurezza nelle varie forme.  Quando vengono deliberati appositi dispositivi di sicurezza si chiede che gli stessi siano rapidamente attuati.

-          Il TdG, dopo un primo periodo breve e transitorio, deve avere una abitazione adeguata alle sue esigenze e deve poter utilizzare, qualora lo voglia, i mobili delle proprie abitazioni.

-          L’assegno erogato al TdG ed ai suoi familiari deve essere concordato con lo stesso in base al “tenore di vita” in precedenza goduto ed in riferimento ai redditi di cui disponeva (circa il “tenore di vita” si veda  l’allegato n.  2).

-          Lo Stato deve prendere atto subito della situazione economica e finanziaria del TdG ed  intervenire affinchè lo stesso non subisca pregiudizio dalla intervenuta protezione.

-          Qualora il TdG resti in loco lo Stato deve  intervenire direttamente affinchè il TdG possa continuare a svolgere l’attività svolta fino a quel momento;  qualora ciò non accada deve essere garantito al TdG, nel frattempo, un assegno in base al “tenore di vita” avuto fino a quel momento.

-          Il TdG ha diritto ad avere una copia di tutti gli atti che lo riguardano e delle comunicazioni effettuate.

-          Per l’inserimento nella località protetta, ove è opportuno che il TdG lavori, è opportuno che lo stesso sia coadiuvato da apposito personale (magari altri TdG che hanno già vissuto tale esperienza).

-          Il TdG ha diritto di tornare in località di origine per esigenze personali e familiari.

-          La permanenza nello SPP deve essere limitata a periodo non superiore a tre anni.

-          Il TdG ha diritto ad essere convocato in Commissione Centrale dietro precisa richiesta motivata.

-          Il TdG ha diritto ad avere una risposta scritta, in tempi rapidi, alle istanze presentate alla Commissione Centrale o al SCP.

 

AL MOMENTO DELLA USCITA.

-          La capitalizzazione deve essere effettivamente concordata con il TdG.

-          La capitalizzazione deve tenere conto del “mancato guadagno” e del “tenore di vita” (in base a quanto indicato nell’allegato n. 2).

 

 

All.n°2

 

 

PROPOSTE DI MODIFICA ED INTREGAZIONE

ALLA L.45/2001 NELLA PARTE RELATIVA AI T.d.G

 

All’ Art.16 ter comma 3

aggiungere dopo le parole “……dietro corresponsione dell’equivalente in denaro a prezzo di mercato” quanto segue: “o comunque ad un prezzo tale da permettere al testimone di acquistare un alloggio con caratteristiche tipologiche e dimensionali analoghe nella località protetta ove il testimone è stato trasferito e/o dove ha la propria residenza”.

 

All’art.16 ter

Aggiungere un comma (il n.4) dal seguente contenuto: “in riferimento a quanto previsto nel presente articolo al comma 1 lettera b e lettera d si precisa che :

-per  “tenore di vita personale e familiare” si intende il livello qualitativo, economico e non, della vita del T.d.G e della sua famiglia, prima dell’ammissione allo S.P.P.. Per accertare lo stesso è necessario verificare, in relazione a 5 anni precedenti alla ammissione alla S.P.P del T.d.G. ,quanto meno i seguenti elementi:

- le denuncie dei redditi di tutti i familiari;

- le proprietà immobiliari della intera famiglia;

-la esistenza di depositi bancari, investimenti azionari e finanziari, ecc…

-le abitudini dei componenti della famiglia anche in relazione al loro inserimento

  sociale e quindi : le vacanze effettuate, gli sport praticati, le spese per ristoranti,

   cinema teatro, abbigliamento, i rapporti con i familiari, ecc….

-         Per “mancato guadagno”, ai fini della presente legge si intende la perdita, in termini economici, subita dal T.d.G a causa della ammissione alla S.P.P. e quindi alla impossibilità di continuare ad esercitare l’attività svolta fino a quel momento. Per accertare lo stesso è necessario verificare, in relazione ai 5 anni precedenti alla ammissione alla S.P.P., quanto meno i seguenti elementi:

-         L’attività svolta dal T.d.G. direttamente o indirettamente (ad es.: tramite ditta, società o altro) e le caratteristiche della stessa;

-         Tutti i redditi percepiti dal T.d.G.  e derivanti direttamente o indirettamente dalla sua attività;

-         Il patrimonio del T.d.G. e della sua attività

-         La situazione di mercato al momento della ammissione alla S.P.P;

-         Le prospettive di sviluppo e di reddito della attività del T.d.G. in relazione alle  condizioni di mercato ed alle caratteristiche della attività stessa.

 

 

All’art.16 ter

Aggiungere un comma (il n.5) ove si afferma che :

“In base al tenore di vita ed al mancato guadagno del T.d.G. sarà concordato  tra Commissione e T.d.G., entro e non oltre sei mesi dalla ammissione allo S.P.P l’assegno mensile da erogare al testimone”.

 

 

All’art. 16 ter

Aggiungere un comma (il n6)ove si afferma che :

“il T.d.G.anche se ammesso al cambio delle generalità, avrà diritto di avere un unico documento, il passaporto, attestante la originaria identità. Il T.d.G potrà utilizzare la originaria identità solamente in casi eccezionali,  di necessità, relativi a rapporti in precedenza sorti e non esauritisi, senza disvelare la nuova identità, con comunicazione al S.C.P.

 

All.n°3

                                                                                            Ill.mo Ministro On. Anna Maria Cancellieri

Ill.mo Ministro

Premesso

-che lo status di Testimone di Giustizia è disciplinato dalla legge 12 febbraio 2001, n.45,che ha inserito il Capo II-bis nella normativa in materia di collaborazione con la giustizia di cui al decreto-legge 15 gennaio 1991, n.8, convertito, con modificazioni dalla legge 15 marzo 1991,n.82

- che lo status di Testimone di Giustizia è riconosciuto a “coloro che assumono rispetto al fatto o ai fatti delittuosi in ordine ai quali rendono le dichiarazioni esclusivamente la qualità di persona offesa dal reato, ovvero di persona informata dei fatti o di testimone, purchè nei loro confronti non sia stata disposta una misura di prevenzione, ovvero non sia in corso un procedimento di applicazione della stessa, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n 575”, se ricorrono i presupposti   per l’applicazione delle speciali misure (articolo 16- bis, comma 1,del citato decreto-legge n.8 del 1991);

-che è pertanto ostacolo sufficiente all’assunzione di tale status risultare indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, ai sensi della leggen.575 del 1965;

-che il quadro emerso dall’attività di inchiesta svolta dalla Commissione parlamentare antimafia nella scorsa legislatura attestava la necessità di rapidi interventi sia sul punto della normativa  vigente (con singole e specifiche modifiche), sia puntando ad una complessiva  e radicale riforma del sistema di protezione. E’ stata, quindi, confermata la necessità di introduzione di nuovi strumenti e di modifica di quelli esistenti purchè commisurati, sul piano della protezione e dell’assistenza, al rischio e ai bisogno specifici del testimone di giustizia;

-che la legge n.45/2001 non prevede alcuna garanzia lavorativa per quanti decidono di accettare il programma speciale di protezione, ma al contrario esclude che gli stessi Testimoni possano accettare posti di lavoro subordinato per via dell’assenza di documenti e di generalità;

- che pertanto i Testimoni di Giustizia, oltre a non potersi reinserire socialmente ,grazie ad un lavoro che favorisca la loro crescita personale e consenta di superare uno stato di deprimente inattività, non possono, in conseguenza di ciò, percepisce un giorno  alcun trattamento previdenziale, non versando di fatto i contributi;

- che , in forza di ciò, è stato più volte sollecitato dagli interessati e da alcune istituzioni un intervento normativo che preveda forme di assunzioni obbligatoria da parte delle amministrazioni dello Stato ovvero degli enti locali (mediante il sistema delle quote riservate a categorie protette), volto peraltro a consentire la costituzione di specifiche posizioni previdenziali per favorire il reinserimento lavorativo e sociale una volta esauriti di impegni giudiziari;

- che, quanto sopra è stato evidenziato già dallo stesso Vice Ministro Minniti nel corso dell’audizione del 27 giugno 2007, innanzi alla Commissione  Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare e formalizzato nella conseguente Relazione approvata all’unanimità della Commissione medesima;

-che già la relazione sui Testimoni di Giustizia , approvata all’unanimità dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, nella seduta del 19 febbraio 2008, Relatore Onorevole Angela Napoli, ha evidenziato la necessità di prevedere forme di assunzione obbligatoria  dei Testimoni di Giustizia presso la  Pubblica Amministrazione.

- che proposte per l’assunzione dei testimoni di giustizia nella pubblica amministrazione sono  già state presentate nel corso dell’ultima legislatura con emendamenti ai decreti- legge  e ai disegni di legge in materia di sicurezza (da ultimo all’atto Senato n. 2479), accantonati per approfondimenti, laddove nella scorsa legislatura il Governo ne aveva comunque previsto l’adozione nell’ambito del disegno di legge atto Camera n.3242 ( “Misure di contrasto alla criminalità organizzata. Delega al Governo per l’emanazione di un testo unico delle misure di prevenzione. Disposizioni per il potenziamento degli uffici giudiziari e sul patrocinio a spese dello Stato”) accogliendo  un’indicazione discussa e approvata da tutte le forze politiche nell’ambito della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, in modo da completare il ventaglio di misure per adottare la migliore tutela dei “testimoni di giustizia” e per meglio garantire loro quel reinserimento nella vita sociale che la riforma del sistema di protezione attuata nel 2001 intendeva porre in particolare risalto;

-che pertanto si tratta di un’esigenza  condivisa, che spinge ad una migliore assimilazione dei testimoni di giustizia alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, con modifica del decreto- legge n.8 del 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n.82 del 1991, tenendo conto ovviamente delle contestuali esigenze di protezione al grave e attuale pericolo cui i testimoni (e i loro familiari) possono essere esposti per effetto della testimonianza.

- che, dunque, allo stato attuale, pende spesso le due Camere il disegno di legge n.2479 rubricato “Conversione il legge del decreto- legge 12 novembre 2010, n.187,recante misure urgenti in materia di sicurezza” e che allo stesso sono stati presentati gli emendamenti 3.0.5. ( LUMIA, DELLA MONICA, CAROFIGLIO, CASSON,CHIURAZZI,D’AMBROSIO,GALPERTI,MARITATI,PERDUCA, DE SENAARMATO, GARRAFFA,LEDDI) E 3.0.3  (LIGOTTI, PARDI, BELISARIO,GIANBRONE,CARLINO, BUGNANO, CAROFIO,DE TONI,DI NARDO,LANNUTTI,MASCITELLI,PEDICA), predisposto proprio al fine di prevedere l’assunzioneobbligatoria dei Testimoni di Giustizia presso la Pubblica Amministrazione.

-che la Commissione stessa della Repubblica Italiana assume il lavoro come diritto inviolabile e fondamentale al cittadino (art.1) e riconoscere lo stesso ambiente lavorativo come una  delle formazioni sociali ove si svolge la personalità del cittadino medesimo (art.2), precisando poi che il lavoro non è solo un diritto, ma anche un dovere inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale (art.2);

- che la misura che si suggerisce è intesa a ristorare il danno subito dai cittadini che, senza colpa, ma anzi con il particolate merito  civile di aver offerto una testimonianza  fondamentale per il perseguimento di crimini gravissimi e per dare effettività all’amministrazione della giustizia, soffrono indubbie limitazioni alle 

 

Proposta dei Testimoni di Giustizia Siciliani al Presidente Regione Sicilia ROSARIO CROCETTA

Ill.mo Presidente Regione Sicilia Rosario Crocetta

 

 Ill.mo sig. Presidente, siamo un gruppo cittadini onesti che hanno offerto la loro testimonianza in importanti processi di mafia contro le famiglie mafiose di Palermo, della Bassa Quisquina e di Partanna.

Noi testimoni di giustizia Piera Aiello, Giuseppe Carini e Ignazio Cutrò, ci rivolgiamo alla Sua persona per sottoporLe il nostro estremo disagio e abbandono da parte delle istituzioni del Paese. Da anni denunciamo il nostro totale stato di abbandono.

Il giorno 30 novembre, il giorno successivo alla Sua elezione alla guida della nostra Regione, siamo stati ricevuti dalla speciale Commissione Antimafia Europea (CRIM) e nel corso dell’audizione abbiamo segnalate le rinunce e le difficoltà di questi anni. In Italia i testimoni di giustizia sono circa settanta di cui nove sono siciliani.

Nella veste di cittadini onesti ci rivolgiamo alla nostra terra, alle nostre Istituzioni ed al nostro Presidente di aiutarci nell’affrontare uno dei problemi più importanti per i testimoni: il reinserimento lavorativo e sociale .

Da anni, come avrà modo di leggere, sono stati presentati  molti disegni di legge, emendamenti a favore dell’inserimento lavorativo dei testimoni nella pubblica amministrazione; purtroppo, governi poco attenti o volutamente indifferenti hanno disatteso le nostre speranze.

Noi pensiamo che se il “Governo Cuffaro”  si è reso promotore di una legge regionale per l’assunzione dei familiari delle vittime non vedo perché mai il Governo regionale da Lei presieduto non possa allargare la suddetta legge regionale ai testimoni di giustizia o in alternativa adottare una nuova legge che sulla falsariga di quanto ipotizzato dall’amico Beppe Lumia preveda l’assunzione dei testimoni nella pubblica amministrazione. Per noi testimoni di giustizia siciliani costituirebbe la prova del sostegno, senza se e senza ma, a quanti hanno sacrificato la propria vita ed il proprio futuro per la libertà della nostra terra e  sarebbe un gesto di forte impatto politico e sociale. Un segnale chiaro ai detrattori che tante chiacchiere hanno scritto e detto durante la campagna elettorale.

La regione Calabria ha già adottato provvedimenti in questa direzione (marzo 2011) per sostenere quei cittadini calabresi onesti in materia di contrasto alla ‘ndrangheta.

Confidando nella Sua comprensione e nella Sua personale storia di strenuo difensore civile della legalità restiamo in attesa di un suo diretto intervento legislativo.

Desideriamo inoltre esprimerLe la nostra volontà di incontrarLa per discutere di impegno civile di testimonianza per la promozione di percorsi di legalità.

A seguire le indichiamo alcune notizie che crediamo potranno essere utili per avere un quadro più chiaro sulle problematiche dei testimoni di giustizia.

 

Premesso

- che lo status di Testimone di Giustizia è disciplinato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45, che ha inserito il Capo II-bis nella normativa in materia di collaborazione con la giustizia di cui al decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82.

- che lo status di Testimone di Giustizia è riconosciuto a «coloro che assumono rispetto al fatto o ai fatti delittuosi in ordine ai quali rendono le dichiarazioni esclusivamente la qualità di persona offesa dal reato, ovvero di persona informata sui fatti o di testimone, purché nei loro confronti non sia stata disposta una misura di prevenzione, ovvero non sia in corso un procedimento di applicazione della stessa, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575», se ricorrono i presupposti per l’applicazione delle speciali misure di protezione

(articolo 16-bis, comma 1, del citato decreto-legge n. 8 del 1991);

- che è pertanto ostacolo sufficiente all’assunzione di tale status risultare indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, ai sensi della legge n. 575 del 1965;

- che il quadro emerso dall’attività di inchiesta svolta dalla Commissione parlamentare antimafia nella scorsa legislatura attestava la necessità di rapidi interventi sia sul piano della normativa vigente (con singole e specifiche modifiche), sia puntando ad una più complessiva e radicale riforma del sistema di protezione. È stata, quindi, confermata la necessità di introduzione di nuovi strumenti e di modifica di quelli esistenti purché commisurati, sul piano della protezione e dell’assistenza, al rischio e ai bisogni specifici del testimone di giustizia;

- che la legge n. 45/2001 non prevede alcuna garanzia lavorativa per quanti decidono di accettare il programma speciale di protezione, ma al contrario esclude che gli stessi Testimoni possano accettare posti di lavoro subordinato per via dell’assenza di documenti e di generalità;

- che pertanto i Testimoni di Giustizia, oltre a non potersi reinserire socialmente, grazie ad un lavoro che favorisca la loro crescita personale e consenta di superare uno stato di deprimente inattività, non possono, in conseguenza di ciò, percepire un giorno alcun trattamento previdenziale, non versando di fatto i contributi;

- che, in forza di ciò, è stato più volte sollecitato dagli interessati e da alcune istituzioni un intervento normativo che preveda forme di assunzione obbligatoria da parte delle amministrazioni dello Stato ovvero degli enti locali (mediante il sistema delle quote riservate a categorie protette), volto peraltro a consentire la costituzione di specifiche posizioni previdenziali per favorire il reinserimento lavorativo e sociale una volta esauriti gli impegni giudiziari;

- che quanto sopra è stato evidenziato già dallo stesso Vice Ministro Marco Minniti nel corso dell’audizione del 27 giugno 2007, innanzi alla Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare e formalizzato nella conseguente Relazione approvata all’unanimità dalla Commissione medesima; 

- che già la Relazione sui Testimoni di Giustizia, approvata all’unanimità dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, nella seduta del 19 febbraio 2008, Relatore on. Angela Napoli, ha evidenziato la necessità di prevedere forme di assunzione obbligatoria dei Testimoni di Giustizia presso la Pubblica Amministrazione;

-  che proposte per l’assunzione dei testimoni di giustizia nella pubblica amministrazione sono già state presentate nel corso dell’ultima legislatura come emendamenti ai decreti-legge e ai disegni di legge in materia di sicurezza (da ultimo all’atto Senato n. 2479), accantonati per approfondimenti, laddove nella scorsa legislatura il Governo ne aveva comunque già previsto l’adozione nell’ambito del disegno di legge atto Camera n. 3242 («Misure di contrasto alla criminalità organizzata. Delega al Governo per l’emanazione di un testo unico delle misure di prevenzione. Disposizioni per il potenziamento degli uffici giudiziari e sul patrocinio a spese dello Stato»), accogliendo un’indicazione discussa e approvata da tutte le forze politiche nell’ambito della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa e similare, in modo da completare il ventaglio di misure da adottare per la migliore tutela dei «testimoni di giustizia» e per meglio garantire loro quel reinserimento nella vita sociale che la riforma del sistema di protezione attuata nel 2001 intendeva porre in particolare risalto;

- che pertanto si tratta di un’esigenza condivisa, che spinge ad una maggiore assimilazione dei testimoni di giustizia alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, con modifica del decreto-legge n. 8 del 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 82 del 1991, tenendo conto ovviamente delle contestuali esigenze di protezione in relazione al grave e attuale pericolo cui i testimoni (e i loro familiari) possono essere esposti per effetto della testimonianza.

- che, dunque, allo stato attuale, pende presso le due Camere il disegno di legge n. 2479 rubricato «Conversione in legge del decreto-legge 12 novembre 2010, n. 187, recante misure urgenti in materia di sicurezza» e che allo stesso sono stati presentati gli emendamenti 3.0.5. (LUMIA, DELLA MONICA, CAROFIGLIO, CASSON, CHIURAZZI, D'AMBROSIO, GALPERTI, MARITATI, PERDUCA, DE SENA, ARMATO, GARRAFFA, LEDDI) e 3.0.6. (LI GOTTI, PARDI, BELISARIO, GIAMBRONE, CARLINO, BUGNANO, CAFORIO, DE TONI, DI NARDO, LANNUTTI, MASCITELLI, PEDICA), predisposto proprio al fine di prevedere l’assunzione obbligatoria dei Testimoni di Giustizia presso la Pubblica Amministrazione;

- che non si è ad oggi trovato ancora un accordo sull’approvazione di tale norma, nonostante le ripetute discussioni presso le due Camere elettive;

Considerato

- che la disposizione de qua non si appaleserebbe incostituzionale (ex art. 3 Cost.) poiché già sussiste identica normativa prevista in favore delle vittime della criminalità organizzata e del terrorismo, ossia l’art. 14 della legge n. 302 del 1990;

- che la Costituzione stessa della Repubblica Italiana assume il lavoro come diritto inviolabile e fondamentale del cittadino

(art. 1) e riconosce lo stesso ambiente lavorativo come una delle formazioni sociali ove si svolge la personalità del cittadino medesimo (art. 2)

, precisando poi che il lavoro non è solo un diritto, ma anche un dovere inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale

(art. 2);

- che la misura che si suggerisce è intesa a ristorare il danno subito dai cittadini che, senza colpa, ma anzi con il particolare merito civile di aver offerto una testimonianza fondamentale per il perseguimento di crimini gravissimi e per dare effettività all’amministrazione della giustizia, soffrono indubbie limitazioni alle loro potenzialità lavorative, offrendo loro di poter assumere un impiego pubblico, in coerenza con il titolo di studio, le professionalità e i requisiti posseduti e quelli richiesti dalle amministrazioni interessate.

- considerato che il Parlamento Europeo nella seduta del 06.10.2011 ha approvato la Relazione sulla criminalità organizzata nell’Unione Europea (2010/2309(INI)) Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni Relatore Sonia Alfano all’interno della quale si invita gli Stati membri a migliorare il quadro legislativo UE con particolare riguardo alla questione dei testimoni di giustizia (punti 10 e 13 pagina 12-13/28):

 

 

Tutto ciò premesso e considerato

Si chiede alle V.S. Ill.ma di voler provvedere urgentemente a portare alla discussione del Parlamento Siciliano la presente istanza e di chiedere la votazione urgente su un disegno di legge regionale in materia di testimoni di giustizia;  in alternativa si richiede la modifica della legislazione vigente applicata ai familiari delle Vittime del terrorismo e della criminalità organizzata  e l’inserimento dei testimoni di giustizia come figure vittime anch’esse……..